
Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia,…
Ogni tanto mi fermo a leggere qualche post sui social, LinkedIn è il mio preferito, e perdo un sacco di tempo a chiedermi come si possano pensare e dire certe stronzate. Ma in realtà me ne sto fermo lì aspettando che qualcuno arrivi e dica “amico, è una stronzata colossale”.
A volte vorrei che succedesse proprio mentre sono lì che aspetto e, a volte, vorrei davvero avere il coraggio di essere io il tizio che dice la sua e dice all’altro tizio che sta dicendo stronzate.
Non succede quasi mai e scorro il feed alla ricerca di nuove avventure.
In media però è un mondo molto piatto
Per quanto possiamo pensare che i social siano il regno della discussione, del confronto e dello scontro, non è davvero così. Puoi trovare qualcuno che distrugge un’opinione altrui ma di solito avviene secondo dinamiche poco rilevanti: in modalità anonima, senza pensiero critico, in branco.
Non so se debba sentirmi fortunato o meno ma non ho mai subito attacchi personali. Le uniche volte in cui qualcuno mi ha “aggredito” lo ha fatto in modalità anonima. E l’anonimato è in genere il mezzo preferito e il più diffuso.
Le altre volte in cui qualcuno dissente dal coro, si tratta di opinioni gettate senza alcun pensiero critico, spesso fraintendendo o addirittura ignorando il messaggio e il contesto.
Quanto alle dinamiche di gruppo, non so fino a che punto possiamo rivendicare originalità di pensiero schierandoci rigorosamente da una parte e l’altra della linea.
In media è un mondo molto piatto in cui ognuno cerca di minimizzare le perdite più che puntare al guadagno. In cui in barba alla ricerca di originalità e unicità, si cerca quasi sempre di far vedere come le proprie idee e i propri colori siano intonati al quadro generale. Quello comune.
Cazzo, i gay e la pubblica morale
Dicono anche che i social sia un regno fatto da osceno e volgarità. Potrebbe essere vero ma anche qui ci sarebbe da pensare. In realtà a ben guardare sembra più un luogo felice in cui tutti sono progressisti, accoglienti e mediamente colti.
Leggevo ieri di una polemica sul fatto che Fedez vendesse i suoi dischi beneficiando del bonus cultura e nei commenti tutti si dichiaravano offesi e allibiti. Mozart sicuro. Beethoven anche. Puccini. De André. Quella è musica, la musica che “noi” ascoltiamo. E quella è la cultura.
Altro polverone ed esito simile sulla presunta approvazione da parte della Crusca delle locuzioni “esci il cane” e “siedi il bambino”. Anche qui tutti in piedi e a protestare come fossimo quelli che nella vita si esprimono in versi e al posto di scoreggiare col cul facciam trombetta.
Per la cronaca, non esco il cane da quando ho un giardino. Prima lo uscivo più volte al giorno.
Ma il vero nodo è su questioni serie. Pensiamo ad esempio all’orientamento sessuale o all’accoglienza dei migranti. A guardarlo dai social (ricordiamoci di escludere le opinioni anonime e quelle da branco), sembra un mondo in cui tutti si porterebbero un gay e un migrante a testa a casa.
Penso la cosa più intelligente e vera in proposito, sia dunque provare a rispondere a Taleb o a Peter Singer.
“La prossima volta che un marziano arriva sulla Terra, provate a spiegargli perché coloro che sono a favore dell’eliminazione del feto dall’utero di una donna si oppongono alla pena capitale, oppure perché quelli che accettano l’aborto sono favorevoli a una tassazione elevata ma contrari a un forte potere militare. Perché coloro che preferiscono la libertà sessuale devono opporsi alla libertà economica individuale?”(Nassim Nicholas Taleb)
“Protestare contro la corrida in Spagna, il consumo di cani in Oriente, o il massacro di cuccioli di foca in Canada, pur continuando a mangiare le uova di galline che hanno speso la loro vita stipati in gabbie o la carne di vitelli che sono stati privati delle loro madri e di una dieta adeguata è come denunciare l’apartheid in Sud Africa, mentre chiedete ai vostri vicini di non vendere le loro case ai neri.” (Peter Singer)
I grandi problemi sono piccoli problemi cresciuti o su larga scala
Da qui si potrebbe andare avanti in una seria e profonda disamina della situazione socio-politica mondiale e sviscerare una serie di point e driven per risolvere e contrastare il fenomeno. Immagino siamo tutti capaci di farlo e dunque me ne guardo bene.
Facendo un passo indietro, guardando ancora a come in piccolo comunichiamo sui social, penso si tratti di questo: non accettiamo la nostra diversità, non quella degli altri.
Ho lavorato con centinaia di professionisti a vario livello per aiutarli a posizionarsi in questo mondo on line in modo “differente” e ho capito una cosa: è spesso inutile.
Quasi sempre mi accorgo di trovarmi di fronte a persone originali, brillanti, con tante cose da dire e storie da raccontare. Ma quasi sempre vengo fermato, apertamente, dal desiderio di non farlo e dalla paura di esporsi.
Una volta è il capo che potrebbe pensare male, un’altra volta è la compagnia che potrebbe percepire negativamente, un’altra volta ancora è semplicemente il fatto che a nessuno va passare per quello strano.
E così, siamo tutti nello stesso calderone fatto da parole comuni, pensieri comuni, polemiche comuni sempre nella stessa direzione e condite sempre dai soliti pareri.
È molto più facile dire l’ha detto Jack Ma o Gandhi che alzarsi e dire “magari dico una stronzata ma penso che…”
Ed è molto più facile dire non sono d’accordo ma difenderò la tua idea sino alla morte che alzarsi in piedi e dirgliene quattro come qualcuno si meriterebbe.
Che poi, diciamoci la verità, non è che sia facile. È che siamo cresciuti così.
A un certo punto della nostra vita abbiamo smesso di fare tutte quelle facce buffe che ci venivano naturali e abbiamo iniziato a fare soltanto quelle che sembravano divertire gli adulti.
Abbiamo smesso di chiedere “perché” e abbiamo iniziato a dire “capisco”.
Abbiamo insomma smesso di cercare un impatto e abbiamo puntato tutti sul fare un’impressione, naturalmente buona.
La beffa è che gli stronzi e gli strani ci fregheranno tutti
Ma la cosa bizzarra di questa storia è che da una parte temiamo il diverso dall’altra i nostri modelli sono eccezionalmente diversi. Dal pazzo di Jobs allo scatenato Zuckerberg, passando per Fedez e altri “dei minori”, le persone che amiamo, veneriamo e compriamo, sono tutti modelli di diversità.
Possono piacere o no. Possiamo, in branco, dire siano stupidi e ridicoli ma sta di fatto che niente di ciò che si vende e ciò che si ascolta rientra oggi nella media. E per certi versi, non solo è bene che sia così ma potrebbe essere una speranza per l’umanità.
Il punto è che forse un giorno riusciremo a realizzare cosa stiamo facendo. A capire che a furia di piacere a tutti e parlare tutti come suggerisce la Crusca ci ritroveremo a vivere una vita da manuale. Non nel senso di scritta bene ma nel senso di senza sorprese, sciatta, insignificante.
Il web è un primo passo nel quale decidere cosa fare.
Viviamo il mondo più connesso di sempre e anche quello nel quale siamo in assoluto più soli. Le persone muoiono senza che nessuno se ne accorga. Ci si ammazza per tutto e per niente.
I social che dovevano collegarci e darci libertà di pensiero e parola ci rendono nevrotici, tristi, depressi, incazzati.
Ci mettono eternamente in competizione. Ci fanno perdere tutto ciò che potrebbe rendere bello un attimo e ci fanno giocare in un eterno confronto fatto di cose finte e raccontate per come pensiamo possano piacere.
A questo punto si tratta solo di scegliere.
Possiamo lanciare da un browser la migliore versione di ciò che le persone si aspettano noi stessi. O possiamo iniziare a vivere la nostra identità. Con il grande rischio di apparire strani e diversi. Ma anche con quello, una volta per tutte, di accettare che lo siamo davvero.
E se davvero riuscissimo ad accettare che strani e diversi lo siamo davvero, forse lasceremmo che anche gli altri siano così.
Sii come Tim e lascia che lo siano anche gli altri.
Cosa ne pensi?

Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia, Quattro (Schnauzer) e Pixel in crisi (libro) Aiuto le persone a trovare-raccontare-vivere il proprio scopo. Qualcuno parlerebbe di Personal Branding ma preferisco dire “Posizionamento personale”. (Perché non riguarda affatto solo il tuo lavoro e perché l’obiettivo è vivere pienamente e non essere scelti da uno scaffale.)