All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in…
Ho notato che vanno molto di moda i titoli arraffa-clic del genere i 5 segreti per essere assunti, le 7 cose da sapere per ottenere il lavoro dei tuoi sogni, le 3 posizioni prima di dormire per essere felici che non c’entrano niente ma che ti danno l’idea che l’articolo sarà utile e corto.
Bene. Allora ho pensato anch’io di dare un po’ i numeri.
1.
Sono una persona molto motivata.
Lascialo decidere a me, grazie. E comunque nessuno ha mai esordito con un “sono una persona pigra e svogliata”.
2.
Il mio capo precedente era un incompetente.
E io non vedo l’ora di sentirti dire la stessa cosa del tuo capo attuale.
3.
La prego, ho un disperato bisogno di questo lavoro.
Anche se fosse vero, è veramente un argomento? Potete dire la stessa cosa con parole meno forti e che suoneranno in maniera diversa al selezionatore, come ad esempio: “Devo ammettere di essere un po’ nervoso perché da quello che ho letto della posizione e da quello che mi ha spiegato oggi, mi rendo conto che si tratta di una bellissima opportunità”.
4.
Non parlo tedesco, ma sono disponibile a fare un corso.
E io non sono un merlo, ma sto prendendo lezioni di sbattimento d’ali: sono sicuro che in tre mesi ce la farò a volare. Parlate piuttosto di ciò che sapete.
5.
No, non ho nessuna domanda da fare.
Bisogna sempre avere delle domande da fare.
6.
Posso imparare molto da questo lavoro
Bene. Ma parliamo di quello che tu puoi portare a noi, non di quello che noi possiamo dare a te…
7.
Quanto è il salario?
Il più delle volte è una domanda inappropriata – o per lo meno intempestiva; ma in alcune occasioni è giustificata, magari al secondo colloquio oppure se il selezionatore sembra essere molto selettivo ma non vi dà informazioni in cambio. Un modo elegante per chiederlo potrebbe essere: “So che non siamo ancora a questo livello del processo di selezione, tuttavia mi domandavo se potesse darmi un’idea della retribuzione associata a questa posizione”.
8.
Non è stata colpa mia.
Ah, noi cattolici e il nostro senso di colpa. Come se portare una colpa fosse qualcosa di così zozzo e immondo. Uno, non scarichiamo il barile; due, preferiamo una frase del genere: “Qualcosa non è andato nel verso giusto e ho cercato di capire cosa, per evitare che succedesse di nuovo”.
9.
Non sono sicuro di aver capito bene la domanda.
Questo era una trappola: una frase di questo genere, ci sta. Meglio chiedere piuttosto che rispondere completamente fuori tema.
10.
Lavoro bene da solo ma anche in team.
Lo dicono tutti, anche quando non è vero. Piuttosto dimmi un aspetto che ti piace del lavoro indipendente e uno invece che apprezzi del lavoro di gruppo.
Cosa ne pensi?
All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in seconda elementare, la maestra ha convocato i miei genitori perché “non era normale” che un bambino conoscesse tutti i nomi dei funghi in latino; a 13 anni ho amato per la prima volta senza sapere che non era amore; a 15 ho smesso di fare decathlon perché odiavo la competizione; ancora minorenne, sono stato processato da una corte marziale. A 20 anni mi sono sposato e a 23 ho divorziato; a 25 anni dirigevo una start-up che ho fatto fallire; a 29 ho avuto la meningite, sono morto ma non ho saputo restarlo. A 35 anni ho vissuto una relazione poliamorista e sono diventato padre di figli di altri. A 42 mi sono licenziato da un posto fisso, statale e ben pagato per fondare l’Agenzia per il Cambiamento Purple&People e la sua rivista Purpletude. A parte questo, ho 20 anni di esperienza nelle risorse umane, ho studiato a Ginevra, Singapore e Los Angeles, ho un master in comunicazione e uno in digital transformation e ho tenuto ruoli manageriali in varie aziende e in quattro lingue diverse: l’ONG svizzera, la multinazionale francese, le società americane quotate in borsa, la non-profit parastatale. Mi occupo soprattutto di comunicazione del cambiamento, di organizzazioni aziendali alternative e di gestione della diversità – e scrivo solo di cose che conosco, che ho implementato o che ho vissuto.