All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in…
Meglio un po’ di più che un po’ di meno
Al mio primo colloquio di lavoro con una multinazionale delle telecomunicazioni, sono andato vestito di tutto punto, con un tre pezzi (panciotto incluso). Il responsabile delle Risorse Umane che mi ha accolto portava una fantastica camicetta hawaiana e, se ricordo bene, anche i pantaloncini corti. Si è subito giustificato, dicendo che era casual friday. E la sua segretaria, mentre mi riaccompagnava, si è sentita in obbligo di precisare che, in generale, il suo capo si vestiva “anche lui” con il completo. Rassicurante.
Un mio ex CEO, dopo aver visto un bravo candidato per un posto di responsabile finanze, lo ha eliminato subito perché era venuto senza cravatta. Un ragionamento semplice e terribile: questo è uno che fa di testa sua e che non è in grado di conformarsi a delle semplici regole sociali. Evidentemente, la creatività è più apprezzata quando si tratta di truccare i conti che quando si scelgono gli abiti. Quindi: nel dubbio, vestitevi un pelino più eleganti di quello che pensate sia adeguato. Al limite, a un secondo colloquio, potrete adattare l’abbigliamento allo stile generale dell’azienda.
Il consiglio di Coco
Coco Chanel diceva che, prima di uscire, bisogna sempre togliersi l’ultimo accessorio appena indossato. Se per gli uomini il completo è una soluzione passe-par-tout, per le donne è più complicato: non tutto ciò che vi mette in valore è anche adeguato per un colloquio.
Penso ad esempio a un ampio décolleté, che ha soprattutto lo svantaggio di esporre… il collo. Se alcuni uomini, quando nervosi, pezzano la camicia, così alcune donne tendono ad arrossarsi, quando sotto pressione. Alcune lo sanno, e arrivano con la dolcevita anche in agosto, con 36 gradi all’ombra.
Personalmente, trovo fastidiosi i braccialetti che fanno rumore a ogni movimento, ma per il resto ritengo che il modo di vestirsi sia talmente personale che non si possano dare consigli generali. Bisogna però ricordarsi che, proprio per la stessa ragione, il vostro interlocutore potrebbe avere la tentazione di farsi un’idea anche dal modo in cui vi presentate. Insomma, l’abito forse non fa il monaco, ma sicuramente può non fare… l’assunzione.
Per apparire, bisogna soffrire. Anche no.
È importante sentirsi a proprio agio, durante il colloquio. Se non siete abituati a portare la cravatta, si vede. Se di solito non portate il tailleur, idem. Piuttosto che dare l’impressione di essere stati impalat* di fresco, suggerirei di rinunciare a vestiti troppo formali: restate sobri*, evitando comunque jeans e scarpe da ginnastica, a favore di camicie e camicette.
Un’eccezione: se siete giovanissimi, strafate pure. Avremo tendenza a gettarvi un’occhiata quasi affettuosa, ricordandoci di quando anche noi andavamo impacciati ai nostri primi colloqui. Un po’ di sano transfert fa sempre bene.
All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in seconda elementare, la maestra ha convocato i miei genitori perché “non era normale” che un bambino conoscesse tutti i nomi dei funghi in latino; a 13 anni ho amato per la prima volta senza sapere che non era amore; a 15 ho smesso di fare decathlon perché odiavo la competizione; ancora minorenne, sono stato processato da una corte marziale.
A 20 anni mi sono sposato e a 23 ho divorziato; a 25 anni dirigevo una start-up che ho fatto fallire; a 29 ho avuto la meningite, sono morto ma non ho saputo restarlo.
A 35 anni ho vissuto una relazione poliamorista e sono diventato padre di figli di altri.
A 42 mi sono licenziato da un posto fisso, statale e ben pagato per fondare l’Agenzia per il Cambiamento Purple&People e la sua rivista Purpletude.
A parte questo, ho 20 anni di esperienza nelle risorse umane, ho studiato a Ginevra, Singapore e Los Angeles, ho un master in comunicazione e uno in digital transformation e ho tenuto ruoli manageriali in varie aziende e in quattro lingue diverse: l’ONG svizzera, la multinazionale francese, le società americane quotate in borsa, la non-profit parastatale. Mi occupo soprattutto di comunicazione del cambiamento, di organizzazioni aziendali alternative e di gestione della diversità – e scrivo solo di cose che conosco, che ho implementato o che ho vissuto.