All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in…
Conosciamo già i canali televisivi, i canali di Venezia e i canali di distribuzione.
È ora di imparare a conoscere anche i canali di selezione, ovvero le modalità, diverse per natura e per utilità, che permettono di trovare un lavoro.
Cacciatori di teste (Headhunter)
I cacciatori di teste sono pagati dalle aziende per trovare i talenti che loro non riescono a trovare. Mi correggo: sono strapagati dalle aziende per trovare i talenti. Questo è il loro principale difetto: sono maggiormente interessati a un certo tipo di profilo che non tutti possono vantare di avere.
Ciò non significa che bisogna essere una perla rara: i cacciatori di teste sono spesso vecchi volponi, che conoscono molto bene il mercato e che hanno la capacità di identificare i profili interessanti anche prima che lo siano veramente. E di conseguenza possono essere tentati di proporre un incontro, anche solo per un breve colloquio conoscitivo. A me è successo così: il mio primo lavoro in una grande azienda l’ho trovato grazie a un consiglio gratuito e benevolo su come rendere più attrattivo il mio curriculum, datomi da un headhunter.
Il vantaggio di questo genere di canale è che una volta entrati nel network di un cacciatore di teste, è difficile uscirne. Per un headhunter, infatti, è importante avere un portfolio di potenziali candidati da cui pescare in caso di bisogno. Hanno tendenza a seguirti anche nei tuoi spostamenti di carriera, tenendoti d’occhio e alimentando sul filo degli anni un sottile rapporto che può tornare utile a entrambi.
Le agenzie di collocamento
Sono i cacciatori di teste dei poveri e sono per lo più specializzate in lavori interinali. Perché no. Ma tra il loro bisogno di margine e la tendenza dei datori di lavoro ad abbassare i costi del personale temporaneo, aspettatevi condizioni contrattuali capestro.
Social media
Sono l’equivalente dell’inserto “Lavoro” che all’epoca si trovava nei principali quotidiani cartacei. Veicolano delle opportunità e per questo sono utili. Ma mi fermerei lì, soprattutto se andiamo nello specifico e parliamo di community come LinkedIn o Xing.
Non conosco nessuno che abbia trovato lavoro tramite LinkedIn. Magari grazie a, sì, ma tramite la candidatura diretta sul sito… nessuno (se ci siete, battete un colpo e manifestativi nei commenti: mi interessa conoscere la vostra esperienza).
Non partite dal presupposto che le aziende sappiano veramente ciò che fanno: la maggior parte di esse pubblica annunci su LinkedIn solo perché è la cosa alla moda da fare. E non si sono dati i mezzi (e le persone) per gestire la valanga di candidature che seguiranno. Un consiglio che posso darvi – e questa volta parlo per esperienza personale come selezionatore, non come candidato – è di non inviare mai le candidature via email. Non le legge nessuno. O l’azienda ha un sistema di gestione delle candidature online, e allora usatelo, oppure preferite la cara vecchia posta.
Presentarsi di persona
Per molti anni è stato il leit motiv di assistenti sociali, collocatori e guru della cassa integrazione: presentatevi di persona, portate il vostro CV, insistete per parlare direttamente con la persona responsabile. Sembra una buona idea, ma non lo è.
E lascio parlare le cifre: unicamente nel sito dove lavoro, riceviamo circa 14’000 candidature spontanee all’anno. Se anche solo l’1% di queste persone si presentasse alla mia porta, calcolando circa 220 giorni di presenza all’anno in ufficio, dovrei incontrare 6 candidati spontanei al giorno. Candidati per i quali molto probabilmente non ho una posizione da offrire e ai quali non ho chiesto di scomodarsi. Mi sembra chiaro perché non è una buona idea, giusto?
Networking: la rete di conoscenze
Perché presentarsi di persona quando c’è qualcuno che può presentavi per interposta persona? Il networking funziona. Tanto. O perché qualcuno vi ha parlato di quella posizione aperta o perché avete avuto accesso a un colloquio tramite un contatto condiviso, l’85% delle posizioni vengono attribuite così, tramite conoscenze.
E non parliamo di conoscenze nel senso di ho un cugino disoccupato e una mazzetta di euro che mi cadrà per terra e che tu potrai raccogliere e nessuno ha visto niente. Non parliamo di raccomandazioni di dubbia natura. Semplicemente tramite le proprie conoscenze, le organizzazioni professionali, le associazioni di volontariato: ogni gruppo di interesse è potenzialmente un network. Anche il club degli amanti dei micetti su Facebook (ma non mettetelo sul CV, vi prego).
Cosa ne pensi?
All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in seconda elementare, la maestra ha convocato i miei genitori perché “non era normale” che un bambino conoscesse tutti i nomi dei funghi in latino; a 13 anni ho amato per la prima volta senza sapere che non era amore; a 15 ho smesso di fare decathlon perché odiavo la competizione; ancora minorenne, sono stato processato da una corte marziale. A 20 anni mi sono sposato e a 23 ho divorziato; a 25 anni dirigevo una start-up che ho fatto fallire; a 29 ho avuto la meningite, sono morto ma non ho saputo restarlo. A 35 anni ho vissuto una relazione poliamorista e sono diventato padre di figli di altri. A 42 mi sono licenziato da un posto fisso, statale e ben pagato per fondare l’Agenzia per il Cambiamento Purple&People e la sua rivista Purpletude. A parte questo, ho 20 anni di esperienza nelle risorse umane, ho studiato a Ginevra, Singapore e Los Angeles, ho un master in comunicazione e uno in digital transformation e ho tenuto ruoli manageriali in varie aziende e in quattro lingue diverse: l’ONG svizzera, la multinazionale francese, le società americane quotate in borsa, la non-profit parastatale. Mi occupo soprattutto di comunicazione del cambiamento, di organizzazioni aziendali alternative e di gestione della diversità – e scrivo solo di cose che conosco, che ho implementato o che ho vissuto.