All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in…
Chiara Zocchi, che negli anni ’90 ha pubblicato con Garzanti un romanzo acclamato da critica e pubblico (Olga), mi disse una volta che si sarebbe fatta fotografare dentro a una scatola di banane, per far passare il messaggio che anche lei, giovane scrittrice di successo, era in realtà un prodotto.
A distanza di (oddio: troppi, tantissimi) anni, ogni qual volta mi succede di riflettere a come potrei “vendermi” meglio, mi rivedo in quella stessa scatola, a sgomitare tra i caschi di banana per trovare il mio spazio. Forse perché l’idea di vendersi, nella mia testa, è negativa. Eppure è quello che ognuno di noi dovrebbe imparare a fare, per aumentare le proprie opportunità professionali.
La proposta di valore
Coca-Cola punta sui piaceri semplici della vita: le loro bibite ci accompagnano in vari momenti della giornata e della nostra esistenza, e si legano alle nostre storie. Il gusto della Coca-Cola (poco importa se normale, light, zero o life) è riconoscibile e ci àncora a un momento piacevole.
Questa è la loro promessa, e non è un caso che il nuovo slogan sia “Taste the feeling”. Ogni prodotto fa una promessa al proprio cliente e, se la proposta di valore è ben formulata (e veicolata), questi ci crede.
Come elaborare la propria promessa
E voi? Che prodotto siete? Qual è la promessa che fate al futuro datore di lavoro?
La risposta è più semplice della domanda, in realtà. Il mio consiglio è quello di fare una lista degli aspetti professionali per i quali siete apprezzati.
- Avete ricevuto qualche complimento da un capo o da un cliente? Vi ricordate per quale motivo? Scrivetelo nella lista.
- Poi pensate a qualche cosa di particolarmente difficile di cui avete dovuto occuparvi (e che vi sembra sia andato a buon fine).
- In seguito aggiungete le cose che vi piace fare nel vostro lavoro e che vi danno soddisfazione.
- E infine elencate gli eventuali diplomi, o le lingue che parlate, oppure le esperienze particolari che avete fatto nel vostro iter professionale.
A questo punto, vedrete che emergeranno due-tre aspetti in comune a tutte le cose che avete scritto. E di solito sono competenze abbastanza specifiche, genere essere un buon negoziatore, essere riconosciuto per la qualità dell’esecuzione, trovare soluzioni a basso costo… cose di questo genere. La vostra promessa di valore va costruita su questi elementi.
Come comunicare la nostra proposta?
Non parliamo di quantità ma piuttosto di qualità. I nostri 10’000 contatti su LinkedIn o i 10 tweet che ci impegniamo a scrivere ogni giorno, o le 300 candidature mandate a tappeto a tutte le ditte della regione non servono a nulla se non è chiaro ciò che possiamo offrire al nostro potenziale datore di lavoro.
Torniamo per un istante all’esempio della Coca-Cola: come avviene la sua promozione, in quanto prodotto? Ci sono spot televisivi, annunci sulle riviste, concorsi associati al prodotto, promozioni nei negozi, sponsorizzazioni di eventi sportivi e culturali. La comunicazione della proposta di valore è multi-piattaforma. Gli americani direbbero che utilizza una strategia “transmediatica”.
E voi? E noi (perché mi ci metto dentro anch’io)? Un CV, neanche tanto caruccio, fotocopiato trenta volte e inviato al nostro… cliente. E no. Ci vuole un po’ più di sforzo: si incomincia con la propria presenza online (ad esempio su LinkedIn) e si continua con altri social media: siete laureati? aprite un blog; siete artigiani? fate un sacco di foto di ciò che realizzate e postatele su Instagram.
Le nuove mode
Il trend attuale è quello di inviare dei piccoli progetti, invece che uno scarno curriculum: in una pagina o due, si propone all’azienda ciò che si potrebbe fare per loro, mettendo in evidenza le proprie esperienze e competenze.
Facendo quindi vedere al potenziale datore di lavoro delle potenzialità che gli diano la voglia di organizzare un incontro, così come il video della Coca-Cola gli ha dato voglia di andare a comprarsene una.
Un’altra moda recente è quella del video-curriculum. Già un pelino più perigliosa: il rischio di fare un video-ciofeca è sempre in agguato. Un po’ come le pubblicità che passano sulla televisione svizzera.
L’aspetto fastidioso di tutto ciò è che cercare lavoro diventa un’attività a tempo pieno. È vero: all’inizio, bisogna investire parecchio tempo. Ma costruireste una casa senza aver prima fatto un progetto? Comprereste un auto senza aver prima valutato i vostri bisogni, i prezzi e ciò che offrono le altre marche?
No. E allora perché diamo per scontato che per trovare un lavoro sia sufficiente scrivere qualche riga e mandarla in giro?
Nota di servizio: non sto cercando lavoro… per questo il mio CV su LinkedIn non ci azzecca nulla con quanto sopra 🙂
Cosa ne pensi?
All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in seconda elementare, la maestra ha convocato i miei genitori perché “non era normale” che un bambino conoscesse tutti i nomi dei funghi in latino; a 13 anni ho amato per la prima volta senza sapere che non era amore; a 15 ho smesso di fare decathlon perché odiavo la competizione; ancora minorenne, sono stato processato da una corte marziale. A 20 anni mi sono sposato e a 23 ho divorziato; a 25 anni dirigevo una start-up che ho fatto fallire; a 29 ho avuto la meningite, sono morto ma non ho saputo restarlo. A 35 anni ho vissuto una relazione poliamorista e sono diventato padre di figli di altri. A 42 mi sono licenziato da un posto fisso, statale e ben pagato per fondare l’Agenzia per il Cambiamento Purple&People e la sua rivista Purpletude. A parte questo, ho 20 anni di esperienza nelle risorse umane, ho studiato a Ginevra, Singapore e Los Angeles, ho un master in comunicazione e uno in digital transformation e ho tenuto ruoli manageriali in varie aziende e in quattro lingue diverse: l’ONG svizzera, la multinazionale francese, le società americane quotate in borsa, la non-profit parastatale. Mi occupo soprattutto di comunicazione del cambiamento, di organizzazioni aziendali alternative e di gestione della diversità – e scrivo solo di cose che conosco, che ho implementato o che ho vissuto.