
Mosaicista della Parola | Accende storie dormienti, Ispira senza farlo…
A volte mi sembra di vivere nelle caverne con i Flintstones: mi concentro sui miei bisogni primari e il termine accontentarsi dell’essenziale ha il suono più dolce del mondo. Non c’è nulla che superi il piacere che mi dà un piatto saporito, un bicchier d’acqua fresca, un cuscino comodo, un abbraccio sincero.
Altre volte mi pare di decollare verso Marte con Elon Musk: miro a un obiettivo ambizioso e il termine accontentarsi del normale è la trappola più letale che ci sia. Non c’è nulla che mi faccia desistere dalla volontà di realizzare i miei desideri personali, che vanno dal semplice all’impensabile.
Nel primo caso assomiglio a un granello di sabbia, che si confonde tra miliardi di elementi con caratteristiche simili. Nel secondo caso sembro un animale in via di estinzione, che per sopravvivere ha bisogno di trasformare la fame creativa in abitudine costante.
La malattia del menefreghismo
Che il mio ambiente percepito sia l’Età della pietra o il ventunesimo secolo dopo Cristo, c’è una costante basilare che mi permette di soddisfare dei bisogni, progettare dei cambiamenti o trovare delle soluzioni: l’assenza di menefreghismo per ciò che capita nella mia vita.
Il menefreghismo è una malattia contagiosa, socialmente trasmissibile, che solitamente colpisce chi perde la capacità di stupirsi di ciò che gli succede attorno.
Lo stupore mancante non è rivolto alle situazioni che sono fuori dalla propria influenza, ma a quelle che potrebbero rientrarvi.
Se una persona non è più in grado di stupirsi come un bambino, fa molta più fatica a distinguere tra il “per me è fuori portata” e il “tentar non nuoce”. Inoltre, si costruisce più scuse logiche per il fatto di non riuscire a sorridere senza motivi apparenti.
Le versioni del menefreghismo
Il menefreghismo è una patologia tremenda perché porta a credere che il 90% di ciò che ci succede, potrebbe accadere anche a prescindere dalla nostra presenza. Il rimanente 10% è invece condizionato da noi, solo che – a nostro dire – non è né speciale né interessante.
Le versioni più diffuse e riconoscibili di menefreghismo sono tre:
- il qualunquismo alla candeggina (“Guarda che tanto gli esseri umani son tutti uguali”).
- l’apatia preveggente (“Tanto comunque non cambierà mai nulla”).
- l’indifferenza in automatico (“Ma io in questo mondo dovrei sbattermi per cosa?”).
Il nostro cervello, che è organo ‘stupido’, non fa come lo stomaco. Lo stomaco di solito seleziona quello che riceve e rigetta ciò che è tossico. Il cervello invece è come una facoltà senza numero chiuso: prende tutto.
Così noi, condizionati dall’ambiente in cui cresciamo fin da piccoli – che ci insegna a ‘usare il cervello’ – abbiamo una discreta possibilità di essere infettati dal virus del menefreghismo.
Influencer delle nostre emozioni
Ma per fortuna c’è una specie di pozione magica, che in realtà è normalissima.
Come detto sopra, esiste tra noi anche l’assenza di menefreghismo. Si tratta di una dimensione anticonformista, nella quale la caratteristica vitale è l’essere privi, il perdere per strada, il lasciar andare, il liberarsi. Delle nostre reazioni apatiche.
Certo, sono tutti verbi – e azioni – impegnativi e fuori moda. Che però, in questi casi, possono darci una spinta fondamentale.
Per cosa? Innanzitutto, per cominciare a stupirci.
Per esempio del colore dei tramonti ‘sole e nuvole’ in ottobre, del fatto che i sentimenti tra le persone cambiano, dell’effetto dell’arte di saper generare arte, della presenza resistente della bellezza ‘nonostante’ la paura, del potere delle parole gentili, della semplicità con cui ancora ci innamoriamo, del piacere infinito che può dare un sorriso alle 7:30 del mattino in una giornata piovosa.
Stupirci per diventare – o meglio ritornare – dei veri influencer. Ma ‘solo’ delle nostre emozioni.
La vera arte di vivere consiste nel vedere il meraviglioso nella vita quotidiana.
Pearl S. Buck
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Mosaicista della Parola | Accende storie dormienti, Ispira senza farlo notare, Compone l'anima delle narrazioni. Fino ad ora ho solo due vite. Nella prima, una laurea e una vita piuttosto lineare; nella seconda invece esplorazioni, incontri e una forma del viaggio molto più ciclica. Per lavoro, mi occupo di 3 cose. Potenziamento Narrativo: per aiutare a riconoscere e raccontare le storie che tengono in piedi il mondo. Orientamento alla Creatività: per comunicare quello che siamo e che facciamo, con originalità e armonia. Facilitazione di Comunicazione: per migliorare la qualità espressiva e relazionale nei gruppi.