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È colpa di Omero (ovvero non prendersi le proprie responsabilità)

È colpa di Omero (ovvero non prendersi le proprie responsabilità)

Succede quando nessuno ci sta guardando. In quei momenti intimi di autogestione, ci diamo il permesso di mollare la presa. O di gettare la spugna.

Duemilatrecento anni fa Aristotele aveva già girato questo film, chiamandolo akrasia: assenza di forza che conduce a una procrastinazione negativa. In sostanza, è la nostra mancanza di disciplina nel fare ciò che diciamo di voler fare, quando poi nella realtà ci smentiamo da soli.

Come lo direi ai giovani

Per raccontarlo a una ragazza che si annoia coi termini antichi, le direi che è la madre delle cose che non vanno come vogliamo. Solo che in questi eventi spiacevoli, siamo noi a generare il motore della sfiga e a posizionare la buccia di banana nel punto di caduta.

Per raccontarlo a un ragazzo a cui piacciono le cose più stimolanti, gli mostrerei il pensiero di Jocko Willink, ex comandante dei Navy Seals, quando esorta a trovare un rapporto con la propria disciplina e ad assumersi la responsabilità di ciò che non va nella nostra vita.

Ai giovani direi che, anche se non vogliamo avere nulla a che fare con le tragedie greche passate o le tragedie belliche nostrane, prima o poi dobbiamo relazionarci con la determinazione degli eventi della nostra vita. Quelli che causiamo noi.

Le nostre scuse e(s)terne

Nella culla della cultura occidentale, c’è però una differenza abissale tra il mondo omerico (Iliade e Odissea) e la tragedia attica resa eterna da Eschilo, Sofocle ed Euripide.

Nella prima dimensione, le condotte umane sconsiderate, indecorose e inesplicabili sono ricondotte all’ate (inganno, dissennatezza, ecc.) che è un momentaneo stato di annebbiamento mentale. Causato da chi? Da agenti demonici esterni all’individuo, che quindi non ha responsabilità.

Con la tragedia attica, invece, la questione etica del perché l’uomo si comporti in modo sbagliato, immorale o irrispettoso, viene affrontata in modo diverso: si risale e si cerca di comprendere i moventi personali dell’individuo, per configurare i confini della sua responsabilità.

Il cordone ombelicale con Omero

Oggi, se osserviamo certi nostri atteggiamenti, sembra che abbiamo ancora grosse difficoltà a tagliare il cordone ombelicale con Omero.

Cioè quando abbandoniamo un obiettivo in breve tempo, o non facciamo partire un progetto che ci affascina o non ‘accendiamo’ una svolta socio-professionale che ci ispira, diventa comodo raccontarci (e raccontare in giro) che una causa esterna – in modo temporaneo ma irrimediabile – ci ha rovinato il percorso.

Ma a volte, come dicono a Roma, sono solo fregnacce. Perché probabilmente abbiamo ‘procrastinato’ la volontà autentica, la perseveranza, l’umiltà, la capacità di fare dei sacrifici e quella di accettare anche i ‘no’. Le abbiamo gettate in avanti, in un tempo futuro che non avverrà mai.

Come se fossi un bambino (però più grande)

Per tentare di riservarci un risvolto meno amaro, dovremmo ripagare Omero con la sua stessa moneta: iniziando a scrivere.

Le mosse principali di una rotta diversa potrebbero essere:

  1. Prendere un foglio e scrivere (es. lista delle cose sul tavolo) o disegnare (es. strumento delle mappe mentali) quello che abbiamo in testa. Quello che ci fluttua in mente relativamente al nostro obiettivo personale: desideri, risorse, problemi, condizioni, scadenze, piani B, ecc.
  2. Suddividere le attività del nostro percorso in piccoli passaggi, in modo che ognuno risulti il più breve e semplice possibile (e soprattutto in modo che l’ansia e lo stress vadano a farsi una lunga passeggiata).
  3. Ricordarsi sempre della dimensione delle nostre libertà. E anche dei nostri privilegi.

Credo che un eroe sia quello che comprende la responsabilità che comporta la sua libertà.

BOB DYLAN

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