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La membrana sottile che separa la fine (del mondo) dall’inizio (di un’epoca)

La membrana sottile che separa la fine (del mondo) dall’inizio (di un’epoca)

Quando gli adulti parlano con gli adulti, chi parla coi giovani?

Se gli adulti comunicano solo con gli adulti, chi comunica con i nativi digitali? Chi interagisce con quelli che sono nati non più di 15/20 anni fa e che sono cresciuti con ciuccio, biberon e tablet in una maniera ormai accettata come naturale?

Questi ragazzi saranno il centro socio-emotivo della nostra comunità e del mercato del lavoro dei prossimi 30 anni. Soprattutto qui in Italia, paese destinato a cateteri e dentiere alla velocità della luce.

Famiglia, scuola e…noi

Chi è che si deve pre-occupare dei giovani?

“È compito dei genitori”

No, non mi fido più.

Non per il loro ruolo fondamentale. Ma perché il buon senso e la capacità di presenza di certi genitori di oggi sono come quelli di un autista ubriaco e sotto l’effetto di stupefacenti, che guida a 90 km/h in centro abitato. E ha la patente finta.

Per fortuna ci sono anche genitori meravigliosi. Ma non basta.

“È compito della scuola”

No, non mi fido più.

Non per il suo ruolo fondamentale. Perché, almeno in Italia, gli istituti pubblici e i programmi scolastici sono architettati sulla base di modelli che hanno 200 anni.

Questi non sono come il vino, che migliora invecchiando. Questi marciscono.

Per fortuna ci sono anche dirigenti e professori meravigliosi. Ma non basta.

“È compito di tutti noi”

Mi fido, olisticamente, di più.

Ma qui è in atto una trasmutazione sociale.

Non possiamo mica fare i genitori come lo facevano le nostre madri. Perché loro facevano le madri negli anni ’60, ’70 e ’80. Un tempo in cui la velocità del mondo era un’altra. Dove tu, da bambin@, vivevi dentro guerre fredde, lotte sociali, boom economici e attentati.

Noi non possiamo fare i genitori come lo facevano i nostri padri. Perché loro sono nati nel dopoguerra, nuotando nella fame e col sedere al freddo. Hanno avuto un’educazione fatta di sberle, bestemmie e rutti padronali, crescendo con un senso della morale (oggi perduto) ma anche con un analfabetismo affettivo che oggi ci rende socialmente disabili a gestire relazioni.

Non possiamo mica fare gli educatori con la bacchetta in mano, facendo fare compiti senza senso, dando valutazioni e giudizi che mettono in corto circuito le identità ancora instabili.

Non possiamo mica insegnare attraverso la severità e il ricatto emotivo.

“Non vogliamo più imparare sotto il controllo severo dei più anziani. Vogliamo imparare divertendoci. Vogliamo imparare senza provare la sensazione di essere giudicati per il minor numero di errori fatti. Vogliamo che gli adulti ci valutino per il maggior numero di capacità espresse. Lo capite?”

Questo sembrano dire i giovani che incontro.

A chi gliene importa davvero dei giovani?

Io non voglio fare il provocatore che punta il dito, anche perché sono abbondantemente ignorante.  Metto solo sul tavolo alcuni elementi della realtà che osservo.

Oggi nel paese Italia (ma anche nel continente Europa), ci stiamo fumando il futuro. Una bella pipata, arrotolata in una cartina, con dentro più futuro che tabacco.

Nelle conversazioni quotidiane e nei dibattiti che avvengono nelle piazze, gli adulti si preoccupano solo delle vicende riguardanti gli adulti (lavoro, economia, pensioni, risparmi, finanza, ecc.). Questo da un certo punto di vista, è naturale e comprensibile. Ma dal punto di vista dell’intelligenza e della lungimiranza, è una tremenda zappa sui piedi.

In quale limbo ‘vanno a finire’ i temi che riguardano quelli che oggi hanno meno di 25 anni di età? Chi se ne occupa? A livello sociale (tradotto: anche me e te), chi si prende a cuore le questioni di quelli che sono economicamente più deboli, politicamente inesistenti e che – dati alla mano – danno ai propri diritti civili lo stesso senso che danno alla carta igienica? (no scusate, alla carta igienica viene dato molto più senso)

Voglio essere cinico ma schietto.

In un paese come l’Italia, chi ha potere mediatico e decisionale di solito esercita un’influenza costante e direziona i pensieri di chi ha ancora 20/30 anni di vita, più o meno.

Circa un paio di anni fa sono stato a un incontro pubblico, a Pordenone, dove intervenivano un paio di politici locali.

L’evento era programmato alle 18.00, quindi non durante l’orario scolastico.

In platea, un centinaio di presenti. Età media: 65.

Cioè, per sintetizzare, in quella circostanza si parlava del futuro della mia città. Ma secondo me, un buon 70% di quelle persone non vedrà ad occhi aperti il 2050.

Quindi, di che caspita di futuro parlavano?

Siamo messi male, ma non ancora nella meNTa

Cercherò di non essere drastico, lo prometto.

Se continuiamo con queste tendenze da consumatori acritici, abitudini malsane (vedi: dipendenze da smartphone simil-tossicodipendenti e analfabetismo sia funzionale che emotivo), siamo messi davvero male.

Ma non siamo ancora al livello della meNTa. Per due motivi principali, a mio avviso.

Il primo motivo è che l’intelligenza artificiale ci sta facendo un favore enorme: ci costringe a tornare umani.

Nelle relazioni familiari, nelle relazioni sociali, nel contesti del lavoro, se non torniamo umani siamo destinati a essere fottuti.

Spacciati, defunti, annichiliti chimicamente dalla modernità.

La grande fortuna è che nel mondo (Italia compresa) si stanno creando e sviluppando gruppi e organizzazioni orientate a un nuovo Rinascimento.

Non parlo di grandi aziende.

Parlo di movimenti di azione più “vicino al basso”, alla terra. Chi nelle svariate forme d’arte come grazia divina, chi nella rigenerazione urbana come percorso inevitabile, chi nel teatro come resistenza culturale, chi nella cura ambientale come necessità improrogabile, chi nella permacultura generativa e sostenibile.

Sono movimenti nati per riprendere il contatto. Quello perso negli ultimi decenni, mentre eravamo concentrati a creare il grande progresso del mondo occidentale. Sono movimenti che ci riavvicinano alla nostra sacralità, al nostro potere creativo interiore e anche alla nostra vulnerabilità.

Il secondo motivo è la nostra evoluzione, di cui ci stiamo riappassionando tramite la volontà di conoscenza. Per quante persone tu ormai cataloghi come “perse”, ce ne sono sempre di più che stanno cercando una propria forma trasformativa.

Qualcuno parla di formazione personale, qualcun altro di crescita personale. Qualcuno azzarda a parlare di “risveglio”.

Questi non sono mai percorsi semplici  e nemmeno veloci. “Semplice” è stare sul divano a bere birra e mangiare patatine. “Veloce” è l’insulto che ti scrivo sui social, senza sentire l’effetto che ha su di te.

Siamo nella possibilità di mettere in gioco la nostra:

  • sensibilità dimostrata
  • abilità di proporre soluzioni ponderate ai problemi
  • capacità di ascolto attivo
  • capacità di intermediazione
  • attenzione alle diversità interpretative degli eventi
  • intelligenza emotiva applicata alle dinamiche reali

D’altronde dobbiamo ricordarci di un dettaglio, che mi piace dire spesso. “Per quanto possa sembrare incredibile, non tutta la storia è già successa. C’è quella che sta succedendo anche adesso. Quella che possiamo far succedere.”

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