All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in…
Una fotografia vale più di mille parole, si dice.
Capita però che una foto faccia parlare (e scrivere) altrettanto, e forse anche di più.
È il caso di questo ritratto ufficiale del Governo svizzero: lodato e criticato per molte ragioni diverse e, paradossalmente, a volte molto simili. Come una medaglia e il suo rovescio. Come i tempi che viviamo.
L’aria dei tempi
È un ritratto contemporaneo. Magari un po’ facilone, per carità, ma rappresentativo del momento storico che stiamo vivendo.
Prima di tutto, il mandato era chiaro: doveva essere realizzato con uno smartphone (ma senza Nutella, diremmo noi che siamo esposti alle fotocamere digitali di altri politici).
Siamo entrati nel nuovo millennio con 80 miliardi di foto; tre anni dopo erano già 660 miliardi; oggi si stima che l’umanità scatti oltre un trilione di fotografie all’anno, ovvero più del totale iconografico cumulato nel corso della nostra storia millenaria.
Lo sviluppo degli smartphone ha cambiato il nostro rapporto con la fotografia perché, semplicemente, oggigiorno ognuno può fare una foto e renderla pubblica. È facile.
Tra i molti professionisti che hanno aderito a questo movimento e che lo hanno in qualche modo legittimato, uno dei più autorevoli è sicuramente Chase Jarvis, che ha fatto dell’istantanea uno strumento di esperienza artistica (da cui il nome “Insta-gram”, se non ci aveste mai fatto caso). Per lui, come per molti altri, l’istantanea scattata con lo smartphone non è tanto una fotografia, quanto piuttosto un ricordo visivo, qualcosa che serva ad ancorarci all’esperienza che stiamo vivendo.
In questo senso, il messaggio veicolato da questo ritratto del Consiglio Federale è chiaro: vogliamo essere risolutamente attuali e vogliamo che questa immagine ricordi un’esperienza, che è quella della cosa pubblica, del gestire uno Stato in nome dei cittadini. Eccoci qua, ci mettiamo la faccia, anche con un po’ di imbarazzo, come gente normale, con uno smartphone in mano.
L’arte del simbolismo
L’idea di normalità non è una novità per il Governo svizzero. Già nel 2008 avevano fatto una foto in cui si perdevano nella folla.

Comunque, per tornare all’attualità:
la fotografia del 2019 è significativa perché riprende tutta una serie di simboli tipici della tradizione elvetica: il Cervino, la fonduta, il corno delle Alpi, la mucca, il coltellino svizzero, gli orologi e i bastoni da hockey su ghiaccio (lo sport nazionale), il profilo di Palazzo Federale, l’immancabile croce della bandiera ma anche un simbolico ponte tra tradizione e futuro, tra lingue diverse, tra culture e religioni, tra dimensioni che hanno bisogno di una via di comunicazione.
Una delle poche cose che ricordo dei tempi del liceo classico è l’etimologia della parola simbolo: “mettere insieme”. E il suo contrario, è ciò che separa: dia-bolo, il diavolo. Come a dire che in qualche modo i simboli dovrebbero federare e non dividere. Trovo affascinante il fatto che si viva poi nell’epoca della con-divisione…
…e non per niente uno dei simboli più forti della fotografia è lo smartphone, di cui abbiamo già parlato, e, soprattutto, il pubblico, la popolazione: è a loro che il Governo sta facendo la fotografia. Non per niente il ritratto si intitola “Cambio di prospettiva” e simboleggia l’interesse che i politici dovrebbero portare ai loro elettori, ma anche un legame tra una classe di professionisti affermati (i ministri) e una nuova generazione (possiamo immaginare che le teste siano quelle dei giovani che hanno scattato la foto…).

La professionalità del dilettante
Infatti, il ritratto è stato realizzato da 7 apprendisti mediamatici.
In Svizzera l’apprendistato è proposto di solito ai giovani tra i 16 e i 20 anni ed è simile agli istituti tecnici in Italia, con la differenza che la maggior parte dei percorsi prevedono un’alternanza studio-lavoro (tipicamente 2-3 giorni di scuola alla settimana, il resto in azienda).
Quindi stiamo parlando di veri giovani. E il numero sette non è un caso, a mio avviso: i Consiglieri Federali sono anche loro sette (nella foto vedrete otto persone, perché la tradizione vuole che il segretario venga immortalato con i ministri: è il signore tutto a sinistra).
Di professione questi giovani sono mediamatici. Una professione nuova, inedita, anche questa perfettamente inserita nell’attualità del mondo del lavoro, in continua evoluzione.
I mediamatici sono specialisti polivalenti delle tecnologie di comunicazione. Creano e gestiscono siti web, elaborano presentazioni e si occupano della gestione di manifestazioni. A tale scopo sfruttano le loro conoscenze negli ambiti multimedia, design, marketing, informatica e amministrazione.
Questo ha scatenato le reazioni delle associazioni dei fotografi professionisti.
Per due ragioni: da una parte, si dà l’idea che ormai una foto ufficiale possa essere realizzata anche con uno smartphone da un gruppo di ragazzini; dall’altra, è un lavoro non retribuito.
Certo, quando hai 17 anni non è male essere citato dal Presidente di una nazione che ti fa i complimenti, figurare nel video del making-of sul sito del Governo e avere nome e fotografia inclusi nella cartella stampa inviata ai media. Però rimane il fatto che, negli anni passati, qualcuno era stato assunto e pagato per fare il ritratto annuale. Un professionista. Un fotografo “vero”. Quest’anno no. I contribuenti ringraziano, il libero mercato un po’ meno.
L’importanza delle donne
Su 7 ministri, 3 sono donne, il che è un buon segno; nel 2010 erano state addirittura 4, quindi in maggioranza.
Ma la fotografia mette in evidenza anche qualcos’altro: una strana somiglianza. Non trovate che le ministre abbiano uno stile molto simile?
Quello che le immagini non dicono, ma le loro biografie sì, è che tutte e tre non hanno figli.
Può essere un caso, certo. Tuttavia è quasi impossibile non interpretare alla rovescia il buon segno di poco fa: il 43% dei ministri sono donne, ma sembrano dimostrare che per arrivare a quel livello della vita professionale e politica, qualche sacrificio lo devi fare.
È vero però che anche due colleghi uomini sono sposati ma senza figli, mentre il Presidente della Confederazione, nella tradizione del partito di origine contadina che rappresenta, ne ha 6, che alza la media per tutti.
Scherzi a parte, il Consigliere Federale Ignazio Cassis, in un’intervista aveva fatto lui stesso una correlazione tra l’impegno politico e professionale e la difficoltà di avere una famiglia.
Anche da questo punto di vista, questa fotografia è simbolo della nostra epoca, dove si fa un gran discutere di equilibrio tra vita privata e lavoro, senza però trovare veramente una soluzione che non sia un compromesso.
Nei secoli che ci seguiranno, è probabile che ritratti come questi vengano interpretati come istantanee di un mondo che stava cercando di cambiare, con esiti poco certi.
Materiale Bonus
La fotografia del 2008 rimane la mia preferita, anche se quella genere “Bohemian Rapsody” del 2017 merita una menzione per il suo coraggio (o per la sua incoscienza, decidete voi):

Cosa ne pensi?
All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in seconda elementare, la maestra ha convocato i miei genitori perché “non era normale” che un bambino conoscesse tutti i nomi dei funghi in latino; a 13 anni ho amato per la prima volta senza sapere che non era amore; a 15 ho smesso di fare decathlon perché odiavo la competizione; ancora minorenne, sono stato processato da una corte marziale. A 20 anni mi sono sposato e a 23 ho divorziato; a 25 anni dirigevo una start-up che ho fatto fallire; a 29 ho avuto la meningite, sono morto ma non ho saputo restarlo. A 35 anni ho vissuto una relazione poliamorista e sono diventato padre di figli di altri. A 42 mi sono licenziato da un posto fisso, statale e ben pagato per fondare l’Agenzia per il Cambiamento Purple&People e la sua rivista Purpletude. A parte questo, ho 20 anni di esperienza nelle risorse umane, ho studiato a Ginevra, Singapore e Los Angeles, ho un master in comunicazione e uno in digital transformation e ho tenuto ruoli manageriali in varie aziende e in quattro lingue diverse: l’ONG svizzera, la multinazionale francese, le società americane quotate in borsa, la non-profit parastatale. Mi occupo soprattutto di comunicazione del cambiamento, di organizzazioni aziendali alternative e di gestione della diversità – e scrivo solo di cose che conosco, che ho implementato o che ho vissuto.