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La tecnologia al (dis)servizio dei genitori

La tecnologia al (dis)servizio dei genitori

Avete mai cercato “App per bebè” sui motori di ricerca?
Probabilmente no, se non siete neo-genitori, per cui ignorate la vastità di un mondo fatto di applicazioni per smartphone e gadget tecnologici che sono andati a sostituire i cari e vecchi diari cartacei che accompagnavano i primi anni di vita del poppante.
Una polaroid sfocata di un bimbo che urla con sotto la didascalia scritta a mano “Settembre 1990 – Il mio primo dentino”? Roba d’altri tempi. Oggi possiamo annotare data, ora e minuto dell’evento e documentarlo con video in 4K, condivisibile su Instagram.

Come al solito, una questione di dati

Qualche settimana fa abbiamo parlato di Femtech e di come l’azienda Ovia Health utilizzi i dati delle proprie utenti per venderli alle compagnie assicurative; una di queste app è proprio dedicata alla cura del nascituro.

Parliamo di dati molto confidenziali appartenenti al nostro futuro e a quello dei nostri figli affidate ad aziende che si ritrovano in mano un quantitativo enorme di materiale.

Il meccanismo è sempre lo stesso: si offre un servizio gratuito di base che risponda a un bisogno più o meno esplicito del pubblico e poi si fanno fruttare i dati condivisi in maniera peraltro volontaria.

Nel caso delle app per neo-genitori, troviamo tutto il necessario per avere un controllo completo della situazione, come il numero delle poppate (e su quale seno), il controllo delle feci (con tanto di paletta di colore per controllarne la tipologia), cicli delle dormite e prossime visite mediche; insomma un repertorio degno di una cartella clinica.

I gadget di cui non sapevamo di avere bisogno

Dagli applicativi passiamo ai veri e propri dispositivi tecnologici che dovrebbero aiutare in maniera ancor più precisa a conoscere l’ambiente circostante dei bimbi ed eventuali “pericoli”: prodotti simili a dei materassini con sensori integrati per capire, ed essere sicuri, che il bimbo dorma, che respiri e che si muova. In caso contrario, se nell’arco di 20 secondi non c’è nessuna forma di vita in movimento all’interno della culla, scatta un allarme via app, che, in teoria,  permette ai genitori di interventire tempestivamente.

Nell’armamentario più classico troviamo l’evoluzione de walkie-talkie: le telecamere, che permettono di sorvegliare il bambino anche a distanza, registrando se ci sono movimenti particolari e, addirittura, rilevando la temperatura del piccolo individuo dormiente, a distanza (e temperatura, umidità, luminosità della stanzetta).
Le stesse telecamere permettono ai genitori di parlare ai bimbi in caso di risveglio e di avere immagini ovviamente in tempo reale, scaricabili e condivisibili.

La privacy nella culla

Tutti questi strumenti, che raccolgono un quantitavo enorme di materiale dei propri utenti, possono anche risultare comodi, ma meglio porsi la domanda (retorica) del dove finiscono, e soprattutto a chi vanno, questi dati.

Ci sono poi i prodotti futuristici dei grandi gruppi, come ad esempio Nestlé e la sua BabyNes: in pratica una Nespresso che prepara latte per bambini, alla giusta quantità, temperatura e fascia d’età; un dispositivo che è stato soggetto a molte critiche per il costo troppo elevato, intorno ai 280$, senza considerare le capsule di latte.

Ma una lezione Nestlé  l’ha imparata, rispetto agli anni ’70, quando si è ritrovata nel mirino degli attivisti per la propria politica di sostituzione del latte materno con le formule in polvere, soprattutto nei Paesi africani dove, di fatto, le famiglie diventano dipendenti dall’utilizzo dei prodotto (a pagamento) della multinazionale svizzera. Infatti, con la BabyNess, quando chiami il loro servizio clienti, prima di poter parlare con l’operatore, ti fanno confermare di essere stato informato che l’OMS consiglia l’allattamento al seno, che rimane la soluzione di prima scelta per il tuo bambino…

L’impatto della tecnologia sullo sviluppo cognitivo

Se da una parte la tecnologia si affaccia in maniera prepotente cercando di aiutare questi genitori in cerca di supporto, dall’altra molte famiglie non vogliono entrare in questo circolo digitale cercando di mantenenere ancora un controllo neutro, genuino, fatto di contatto, dove non esiste nessun device per controllare che l’umidità in casa sia in ordine ma solamente un modo per convivere con questa nuova creatura e imparare a conoscersi come genitori.

Alcuni studi parlano molto chiaro del rapporto tra bimbi e tecnologia: se infatti vengono usati in maniera così prepotente il digitale già dai primi momenti di vita del figlio, allora il passaggio all’uso dei device direttamente da parte dei bambini sarà molto breve; questa ricerca effettuata dalla American Accademy of Pediatrics (AAP) rivela che già a 6 mesi di vita, cioè una fase in cui devono ancora imparare a camminare o gattonare, i bimbi utilizzano smartphone e tablet, mentre nel primo anno passano davanti a questi dispositivi circa un’ora al giorno.

Un report successivo della stessa AAP indica chiaramente che i bimbi dai 0 ai 2 anni non dovrebbero minimamente subire questa sovraesposizione alla tecnologia, in quanto essa potrebbe favorire l’insorgere di diversi problemi quali ritardi nell’apprendimento e un deficit di attenzione.

E vissero tutti felici e connessi

In questo mondo di genitori high-tech, c’è qualcuno che racconta ancora le favole ai bimbi prima di dormire?

Certo.
Alexa, ovviamente.

Proprio così: l’associazione noprofit, BookTrust, a favore della lettura di libri ai bambini, ha pubblicato uno studio secondo cui il 26% dei genitori inglesi afferma di delegare il compito di raccontare le favole ai propri bimbi prima di dormire, agli assistenti virtuali, quali appunto Alexa.

La ragione? Essenzialmente la stanchezza al rientro dal lavoro e il poco tempo da dedicare alla prole.

Al di là della mancanza di contatto tra genitore e figlio, questo fenomeno inquieta gli specialisti perché lo storytelling è un’attività intrinseca nella cultura dell’essere umano ed è dimostrato che favorisce il miglioramento del linguaggio, la resilienza e l’immaginazione dei bimbi.

Sogni d’oro, Alexa. Ti voglio bene.

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