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Fare buona impressione: il nostro primo, più intimo, desiderio

Fare buona impressione: il nostro primo, più intimo, desiderio

  • La nostra immagine social cozza a volte con la nostra immagine reale
  • Ciò che diciamo conta solo il 7% nella prima impressione
  • Creare uno stile personale può essere utile
fare buona impressione: cravatte

Esiste persona che non si è mai preoccupata di fare una buona impressione su un’altra o su un gruppo? Difficile da credersi. Tutti desideriamo piacere ed essere accettati ed è anche per questo che ci prendiamo cura di noi stessi e puntiamo sulla simpatia, sull’umorismo o sulla seduzione o sull’apparire persone di spessore e di cultura nell’approccio con gli altri e le altre.

Il fenomeno è ampiamente studiato: si tratta dell’effetto prima impressione, per cui ciascuno e ciascuna di noi, nei primissimi istanti di interazione con un’altra persona, si crea un frame, un’idea, un’immagine di fondo di chi ha di fronte, che può essere positiva o negativa e che condizionerà inevitabilmente, essendo un processo inconscio, il futuro della nascente relazione interpersonale.

A partire da quel frame, infatti, non faremo altro che cercare, sempre inconsapevolmente, tutti i segnali, gli elementi e le informazioni che lo confermeranno.
È una dinamica che non influenza solamente il giudizio – in questo caso il pre-giudizio che si forma in noi sull’altra persona –, ma influenza anche la nostra autopercezione, ovvero la rappresentazione che abbiamo di noi stessi e delle nostre caratteristiche.

In entrambi i casi, diamo il via a una vera e propria “profezia che si autorealizza”, come fece – anche lui senza saperlo – Edipo Re.

Non vi è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione

Il celebre – anche un po’ abusato, touchée! – aforisma di Oscar Wilde sta a indicare proprio questo: si hanno pochi millesimi di secondo per fare una buona impressione, dopodiché, se qualcosa va storto, dovremmo impegnarci per bene per recuperare in termini di fascino, interesse, credibilità e molto altro.

È anche vero che, sapendo come funziona, possiamo sfruttare questo meccanismo a nostro vantaggio, proponendo fin da subito un’immagine di noi che sia in grado di affascinare e catturare l’attenzione del nostro interlocutore.

È evidente che sono molteplici i fattori in gioco durante un’interazione, come le emozioni, la sintonia intellettiva, la nostra capacità espositiva, i contenuti.
Ciò che gli studi ci insegnano, però, è che le impressioni più immediate sono connesse all’osservazione degli elementi estetici delle movenze, quindi il nostro abbigliamento e gli accessori che indossiamo, il modo di presentarsi (il trucco e la pettinatura o la barba), i gesti, lo sguardo, la postura e tutta una serie di altre caratteristiche che rientrano nella comunicazione non verbale.

Considerato che chi ci ascolta è influenzato per il 93% dal linguaggio del corpo e dall’uso della nostra voce e solamente per il 7% dalle parole, cioè da ciò che diciamo, prescindere da questo aspetto significa commettere una grave ingenuità strategica. Soprattutto nelle relazioni professionali, in cui la posta in gioco può essere l’assunzione, la firma di un importante contratto commerciale o l’acquisizione di un incarico.

Posto che vai, codice che trovi

Molta attenzione va posta anche al contesto in cui desideriamo inserirci, ed è preferibile se cerchiamo di sintonizzarci con le sue regole e richieste implicite. La cultura organizzativa ci mette anni a costruirsi e a consolidarsi e raramente è flessibile, nel senso che è più facile che siamo noi ad adattarci ad essa che il contrario.

Prendere informazioni, attraverso conoscenti o il sito internet e le pagine social, sullo stile dell’azienda che ci ospita, può rivelarsi molto funzionale.

Un contesto  giovane, sportivo  e informale può farci apparire fuori posto in giacca e cravatta o con un tubino e tacchi a spillo, mentre un contesto organizzativo più strutturato e formale può non apprezzare un abbigliamento e un approccio troppo casual, incluso un utilizzo eccessivamente disinvolto del “Tu”.

Ricordo un episodio di qualche anno fa. Sono entrata in una banca, che aveva da poco aperto la filiale vicino a casa mia, per chiedere un’informazione, mi si è avvicinato un ragazzotto, fintamente disinvolto, che con un gran sorriso artefatto mi è corso incontro dicendo: “Ciao! Io sono Matteo e do del tu a tutti!”. “Io no, a dire il vero”, ho risposto.  E questa è l’unica cosa che mi è rimasta impressa di quell’unico incontro.

Se il suo obiettivo era fare una buona impressione, non c’è decisamente riuscito. Non con me.

Quel piccolo disordine che mantiene l’ordine

Un interessante suggerimento, utile ad attirare l’attenzione dell’intelocutore, suscitando interesse, fascino o curiosità, è di indossare un elemento dissonante, ovvero un accessorio che sia disallineato da tutto il resto. Un anello importante, un bracciale colorato, un orologio sportivo se avete una mise elegante, una particolare sciarpa o foulard, qualcosa che rompa gli schemi, al fine di non apparire troppo rigidi e rigorosi e perfezionisti e risultare fastidiosi.
Un’eleganza eccessiva e ostentata può mettere a disagio chi abbiamo di fronte, soprattutto se il suo stile personale non è altrettanto ricercato.

Insomma, ci vuole misura.

Un colore, un messaggio

Se volete fare una buona impressione sui vostri interlocutori, ricordate che anche il colore degli indumenti influenza la percezione, nostra e altrui.

Ci sono numerose ricerche che lo confermano.

Nel mondo occidentale, ad esempio, il rosso per le donne è il colore della seduzione per eccellenza, mentre per gli uomini è sinonimo di potere.

È consigliabile vestirsi di rosso al primo appuntamento con un responsabile del personale? Dipende dall’obiettivo!

Il nero invece è associato all’aggressività e pare che anche chi lo indossa tenda ad assumere comportamenti più aggressivi. Quindi, se ad un primo appuntamento di lavoro volete apparire rilassati e affidabili, è consigliabile evitare questo colore.

Se lo indossate nella convinzione comune che vi faccia sembrare snelle o smilzi, attenzione a non autoingannarvi. In un esperimento condotto su circa 500 persone, sono state presentate le foto di una ragazza vestita sempre con gli stessi abiti, ma di volta in volta di colori diversi, elaborati in digitale. Quasi tutti giudicavano più magra la donna in bianco. Incredibile, ma vero!

Immagine reale e immagine virtuale

Le nostre numerose immagini pubblicate sui social come stanno cambiando gli effetti della prima impressione, considerato che quasi tutti tendiamo a dare una sbirciatina a Facebook, LinkedIn e Instagram, prima di incontrare per la prima volta qualcuno?

Come facciamo a fare una buona impressione in chi è convinto di conoscerci già, anche se, in realtà, non ci hai mai visti prima?

Non so se capita anche a voi, ma quando, per lavoro, ho il primo appuntamento con persone che mi seguono sui social, capita spesso che mi dicano, con un certo stupore: “Sei proprio uguale a quella che si vede su Facebook!”.

“Certo – rispondo stranita – perché sono io!”.

Che cosa le stupisce? Che le foto siano vere e non passate in Photoshop? Che siano recenti e non di quando avevo vent’anni?

Credo che questo aspetto meriti qualche riflessione, non fosse altro che su come gestiamo i nostri profili social e sulle aspettative che ingeneriamo in chi ci segue.

Fare una buona impressione dal vivo diventa più complicato se nelle foto profilo mettiamo immagini distanti dalla realtà.

Attenzione, però, che vale anche il contrario: anche le imprese devono curare la loro immagine, dentro e fuori i social, per risultare interessanti e attrarre talenti. Sono moltissimi i giovani, ma non solo loro, che vanno a studiare le aziende in Internet prima di incontrarle.

La comunicazione, del resto, è un processo circolare.

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“La bellezza è la migliore lettera di raccomandazione”, diceva Aristotele, ma in questi quasi duemilacinquecento anni contiamo di aver fatto qualche passo avanti. O forse no?

Battute a parte, ci sono tre aspetti di cui dobbiamo tener conto per fare una buona impressione:

  1. avere una approfondita conoscenza e padronanza del nostro linguaggio non verbale, in modo da gestirlo e non subirlo;
  2. crearci un nostro stile personale, fatto di abbigliamento, accessori e colori, che diventino dei tratti distintivi;
  3. essere attraenti, accrescendo il nostro fascino attraverso la lettura e la formazione, tenendo vive la curiosità e la vivacità intellettuale, in modo da avere molti argomenti su cui spenderci durante un colloquio, giacché “il fato aiuta solo le menti preparate”.
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